di Carlo Bellieni
Tratto da La Bussola Quotidiana il 3 gennaio 2011

La bioetica per il 2011 ci prepara delle sfide importanti. Ma purtroppo ci ha abituati a vedere un mondo pro-life affannato a rincorrere le ultime novità “progressiste”; e un mondo progressista impegnato ad inventarsene sempre di nuove, per far diventare “normali” e accettate quelle precedenti.

Ed è molto probabile che così continuerà.

Chi ormai si scandalizza per un divorzio? Chi mai entra in un ospedale e si fa prendere dai crampi perché sicuramente in quella stessa mattina e magari proprio in quel minuto nella stanza accanto stanno abortendo un bambino? E ora aborto, divorzio, fecondazione in vitro con strage di embrioni sono diventati routine in tante parti del mondo e nessuno ci fa più caso, perché appena si inizia a discutere subito i giornali sono riempiti della successiva “sfida”, e tutti a correre dietro a questa, come le oche che si gettano dietro al tozzo di pane che gli buttiamo che le fa dimenticare di quello che stavano beccando un attimo prima.

E tante “cartucce” sono pronte per farci dimenticare la passata “indignazione”, proprio come se, giustamente indignati per la pillola del giorno dopo, molti si fossero dimenticati che l’aborto si faceva anche senza di essa (ma questo certo non diminuisce per noi la inaccettabilità etica della pillola).
Dietro l’angolo infatti intravediamo la richiesta della legalizzazione della marijuana in termini sempre più forti ed espliciti, prima come “rimedio medico” (nonostante sia sconsigliato dai medici dell’ American Academy of Pediatrics), poi semplicemente come svago (aperta la porta…), ma intravediamo anche il rischio della liberalizzazione dell’incesto, già richiesta in Germania, dato che nulla può vietare quello che due adulti consenzienti scelgono anche se molti non lo approvano (ma lo approveranno presto); intravediamo anche la possibile depenalizzazione del cannibalismo, che già è entrato nelle sale cinematografiche con vari film (ad es. Cannibal o Rohtemburg, a Grimm love story) ispirati al caso di cronaca di due uomini tedeschi che nella città di Rhotemburg fecero il patto l’uno di uccidere e mangiare l’altro (si noti il termine “love story” del titolo del film, che potrebbe sembrare fuori posto invece c’è finito non a caso); e intravediamo anche la pedofilia come diritto civile reclamato: certo non immediatamente, ma il partito olandese che la reclama non vede l’ora di farla diventare apertamente legale per legge, anche sulla scia dei libri che la giustificano che si trovano su internet.
E pensate che presto anche l’anoressia non sarà depennata dal novero delle “malattie”, se qualcuno dirà che invece si tratta di una “libera scelta”?
Tante sfide nuove per farci dimenticare le precedenti. E noi dietro a correre ai ripari. La vera novità sarebbe se iniziassimo a dire “Basta!” e passassimo all’attacco culturale.
Come? Semplicemente mostrando la bellezza laddove la vogliono nascondere, ad esempio nella vita fetale, nell’amore indissolubile, nella morte del vecchio nel proprio letto e non col veleno dell’eutanasia. Semplicemente con la bellezza della ricerca scientifica, della ricerca della cura per le malattie rare, della forza e del coraggio dei disabili, della normalità della persona malata che non deve apparire in TV solo per fare audience. Ma la bellezza bisogna saperla raccontare, e non bisogna essere pedanti, noiosi, didascalici, predicatori. Altrimenti è meglio star zitti.
La vera novità sarebbe riprendere a fare cultura tra la gente, e non mancano gli argomenti, anzi stupisce che chi propaganda il relativismo etico abbia solo due o tre cose da dire ma riempie i giornali, mentre chi ama la dignità della vita umana ha mille argomenti e non lo vede nessuno. Anche perché sarebbe bene iniziare a raccontare le conseguenze infauste di tante “novità etiche” sulla salute (vedi marijuana e company) e sulla libertà della donna (vedi gli screening genetici prenatali oggi sempre più routine che pesa e condiziona la libera scelta). Sarebbe bello vedere un’inversione di tendenza. Dipende dai poteri forti che gestiscono i mass media, certo; ma anche dalla nostra determinazione e insistenza.