Lahore, 17. La comunità cristiana e cattolica del Pakistan è stretta nella morsa della violenza integralista e minacciata dalla “legge sulla blasfemia”. La normativa – al centro di un acceso dibattito – prevede il carcere o anche la pena capitale per quanti insultano o dissacrano il nome del profeta Maometto e del Corano.

Un altro episodio di violenza – secondo quanto riferisce l’agenzia Fides – ha toccato nei giorni scorsi una famiglia cattolica in Pakistan. Si tratta del nucleo familiare di Walayat Masih, residente nel villaggio di Shadokey, nel Distretto di Gujranwwala, nei pressi di Lahore. Tre musulmani hanno più volte minacciato la famiglia, chiedendo ai Masih di vendere la propria casa, confinante con la loro. Walayat Masih ha sempre rifiutato, dato che l’abitazione, sita sulla strada principale del villaggio, era eredità dei suoi avi. Dopo numerose pressioni e minacce, il 26 gennaio scorso i tre, insieme con un gruppo di altri musulmani, hanno dato alle fiamme la casa dei Masih, distruggendola. Con il sopruso anche la richiesta di “convertirsi all’islam” e di lasciare la zona. La famiglia di Walayat Masih, con moglie e quattro figli, si è trovata all’improvviso senza tetto, nella miseria e nella disperazione. Walayat si è recato all’ufficio della polizia locale per denunciare l’accaduto, ma ha ricevuto altre minacce dalla polizia che si è rifiutata di registrare la denuncia.
“È un atto gravissimo di intimidazione. Ed è l’ennesimo caso di palese ingiustizia ai danni di cittadini cristiani. Le istituzioni e la polizia dovrebbero proteggerli e garantire la legalità, invece di rendersi complici dell’illegalità”, ha dichiarato Xavier Williams, vicepresidente dell’ong “Life for All”, che opera per l’istruzione, la promozione sociale e i diritti umani della comunità cristiana in Pakistan. “Sembra – evidenzia – che le autorità locali tacciano o appoggino queste clamorose violazioni dei diritti personali”
Di recente una ragazza cattolica Shazia, è stata uccisa, dopo violenze, da un ricco avvocato musulmano di Lahore. La polizia si era rifiutata di registrare la denuncia della famiglia e solo dopo il clamore delle proteste il caso è stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica, delle autorità e del tribunale.
Intanto, come accennato all’inizio, la “legge sulla blasfemia” ha innescato un acceso dibattito nella società pakistasna. Alcuni ne vorrebbero una “revisione”, come il ministro federale per gli Affari delle Minoranze, Shahbaz Batti; altri ne chiedono la cancellazione immediata, come l’arcivescovo di Lahore, monsignor Lawrence Saldanha e la Commissione “Giustizia e Pace”. La Conferenza degli “Jamiat Ulema del Pakistan” la ritiene invece “intoccabile” e minaccia dure proteste in caso contrario.
Gruppi musulmani integralisti si sono sempre opposti fortemente a ogni progetto di revisione o revoca della legge. Il cammino, dunque, sarà molto lungo e difficile.
Grazie ai dati raccolti e concessi dal “Christian Study Center” di Rawalpindi e dalla “Commissione giustizia e pace” della Conferenza episcopale, l’agenzia Fides ricorda gli ultimi gravi incidenti che hanno riguardato nel 2009 i cristiani accusati di “blasfemia”. Il 30 giugno 2009 a Bahmniwala, Kasur (Punjab) oltre 110 famiglie cristiane, accusate di blasfemia, sono state costrette a fuggire dalle loro case per paura di attacchi da parte di musulmani dei villaggi vicini. Apparentemente la tensione è iniziata con una scaramuccia tra giovani cristiani e musulmani poi degenerata in violenza religiosa. Il 30 luglio 2009, a Korian, Gojra (Punjab), durante un matrimonio, circa quaranta famiglie cristiane, accusate di violazione delle leggi sulla blasfemia, sono state attaccate da alcuni incendiari che hanno devastato le loro proprietà. Il primo agosto 2009, a Gojra (Punjab), una folla inferocita ha assediato l’area residenziale e appiccato il fuoco a case e persone cristiane, accusate di blasfemia. Nove donne e bambini, impossibilitati a scappare o a nascondersi, sono stati bruciati vivi. Responsabile del gesto è un’organizzazione militante già bandita dal Governo. Prove circostanziali hanno messo in luce il ruolo di “copertura” giocato dall’amministrazione locale. Il 15 settembre 2009, a Jethike, Sialkot (Punjab), il corpo di un ragazzo cristiano, Robert Fanish Masih, è stato trovato impiccato in una prigione. Secondo la polizia si è trattato di un suicidio. Il ragazzo era stato arrestato alcuni giorni prima con l’accusa di blasfemia. Evidenti segni di tortura e numerose ferite hanno smentito la versione ufficiale.
Gli articoli del Codice penale che compongono la “Legge sulla Blasfemia” sono stati introdotti fra il 1980 ed il 1986 dall’allora presidente del Pakistan, Zia-ul-Haq.
Dal 1986 all’ottobre del 2009, almeno 966 persone sono finite sotto accusa per la legge sulla blasfemia:  50 per cento musulmani, 35 per cento ahmadi, 13 per cento cristiani, 1 per cento indù e 1 per cento di religione non specificata. Almeno 33 persone sono state vittime di omicidi dopo l’accusa:  15 musulmani, 15 cristiani, 2 ahmadi e 1 indù. La legge è usata in modo indiscriminato per colpire i cittadini non musulmani in controversie per proprietà, denaro, e inimicizie d’ogni genere. Il numero delle vittime è alto anche fra i musulmani perché diversi gruppi islamici militanti la usano per attaccarsi l’un l’altro.

(©L’Osservatore Romano – 18 febbraio 2010)