di Andrea Sartori (Insegnante) da Protagonisti Per L’Europa Cristiana

A Hollywood si pensa ad un film sulla vita di Maometto, con i soldi di una società del Qatar. Il rischio propaganda, essendo il cinema un’arma molto forte, dai film di propganda classici della Riefenstahl e di Eisenstein al moderno “Hero” di Zhang Yimou

Barry Osborne, regista neozelandese produttore tra l’altro di successi quali “Matrix” e “Il Signore degli Anelli” sta pensando ad un kolossal sulla vita del Profeta dell’Islam, finanziato coi soldi della società del Qatar Al Noor Holdings. Il rischio-propaganda, che traspare dalle parole dello stesso Osborne, è molto forte.
Fu Mussolini a riassumere la potenza del grande schermo in una celebre battuta: “Il cinema è l’arma più forte”. Il Terzo Reich e l’Unione Sovietica seppero usare quest’arma con una potenza tuttora ineguagliata. Goebbels intuì la forza del cinema, e i documentari della sua regista prediletta Leni Riefenstahl sono tuttora motivo di imbarazzo perché la bellezza di questi film, al di là del contenuto perverso, è innegabile. Lo stesso discorso si può fare con Stalin e con il suo regista Sergei Eisenstein, autori di capolavori quali “La corazzata Potemkin” (che Villaggio dissacrò rompendo un tabù) o “Ivan il Terribile”, celebrazione della figura di Stalin.
Ma torniamo a Maometto. Osborne fa capire che si piegherà a tutti i dettami islamici. Innanzitutto loda senza riserve il suo protagonista: “E’ stato un grande genio che ha fondato una religione, l’islam, che significa pace e riconciliazione – ha detto Osborne – Questo e’ cio’ che il film vuole mostrare. Insegnare alla gente il vero significato dell’islam”. Poi, seguendo i dettami islamici, Maometto, pur essendo protagonista, sarà assente, o meglio, “incombente”, per tutto il film: non sarà mai mostrato.
Il soggetto è difficile da trattare, ma non è la prima volta che l’argomento “Maometto al cinema” viene trattato. Infatti sono estremamente pochi i film sul Profeta dell’islam.
Il primo caso occorse nel 1926: l’Università di Al-Azhar fermò con un fatwa il progetto di un film sugli albori dell’islam, interdicendo strettamente la rappresentazione di Maometto e dei suoi Compagni sullo schermo. Re Fu’ad minacciò l’attore che avrebbe dovuto interpretare il Profeta, Youssef Wahbi, di revoca della cittadinanza egiziana e di esilio.
Il caso più emblematico è rappresentato dal film “The Message” del regista arabo-americano Moustapha Akkad, il produttore della serie horror “Halloween”. Esaminiamo un attimo la pellicola di Akkad.
Il film schiera un cast d’eccezione: Anthony Quinn nel ruolo di Hamza, il bollente zio del Profeta, e Irene Papas in quello di Hind, l’acerrima avversaria di Maometto. Il Profeta e i suoi Compagni non vengono mai mostrati, come secondo la fatwa di Al Azhar (va detto che in ambiente sciita la questione della rappresentazione cinematografica di Maometto è meno vincolante: l’ayatollah Ali al-Sistani emise una fatwa che permetteva la rappresentazione del Profeta). La presenza di Maometto si intuisce dalle soggettive o dall’ombra della sua cammella, quella di Alì dalle inquadrature su Zulfikar, la spada a due punte. Ma il Profeta viene rappresentato come una persona mite, che odia la guerra. In una scena Hamza-Anthony Quinn parla al Profeta cercando di convincerlo alla guerra dicendogli “So che tu odi le spade”.
Questa non è la verità storica. Infatti i massacri del Profeta vengono abilmente taciuti. Non si parla del massacro dei settecento ebrei banu Qurayza. Oppure della spedizione di Khaybar e la tortura del capo Kinana per un tesoro (“L’Inviato di Dio diede ordine che si scavasse fra quelle rovine, e parte del tesoro fu trovata. Fu chiesto a Kinana dove fosse il resto, ma egli continuò a negare di saperlo; il Profeta ordinò allora a Zubayr ibn al-Awwam di torturarlo, e questi gli accese un fuoco sul petto con l’acciarino, sino a ridurlo in fin di vita. Poi l’Inviato di Dio lo consegnò a Muhammad ibn Maslama, che gli tagliò la testa per vendicare la morte di suo fratello Mahmud” Vite antiche di Maometto, Mondadori Islamica, pag. 310) o l’assassinio della poetessa Asma bint Marwan, o anche i controversi rapporti con la bambina Aisha o con Zaynab, moglie del suo figlio adottivo, che sposò il Profeta in seguita ad una “rivelazione” che suscitò l’ironia di Aisha (“Il tuo Dio è sollecito nell’esaudirti” gli avrebbe detto, secondo fonti islamiche).
La propaganda in Akkad è presente anche nel film “Lion of the desert” il film sull’eroe anti-italiano Omar al Mukhtar. La pellicola fu finanziata da Gheddafi, il quale chiese esplicitamente di mettere in cattiva luce i Senussi, ai quali apparteneva anche al Mukhtar. Questo per separare la figura dell’eroe nazionale, che il Colonnello usò a fini propagandistici (ricordiamo anche la foto provocatoria durante la sua visita in Italia) da quei Senussi cui apparteneva re Idris I, che ne fu il capo e al quale Gheddafi ha rapinato il trono con il colpo di Stato del 1969. Una mossa che ricorda l’espulsione della figura di Trockij da parte di Eisenstein dal suo film celebrativo della Rivoluzione leninista “Ottobre” per adempiere agli ordini di Stalin.
Il cinema è un’arma potente perché è “popolare”. E’ più facile credere alla verità del grande schermo piuttosto che a quella dei libri. Le biblioteche sono luoghi di più difficile frequentazione.
Un esempio modernissimo è l’attuale cinema cinese: basti pensare alla parabola di Zhang Yimou, che ci ha regalato perle come “Lanterne rosse”, film bellissimo sulla condizione della donna cinese con una Gong Li che leva il fiato. Un film che però, per la sua lucida critica alla società cinese, non è stato distribuito in patria.
Ora Zhang Yimou si è integrato, è stato per le Olimpiadi di Pechino ciò che Leni Riefenstahl fu per quelle di Berlino del 1936. E ci ha regalato mediocri film wuxiapian (il cappa e spada cinese) come “Hero”, che non può essere paragonato ai “capolavori” di propaganda della Riefenstahl e di Eisenstein per bellezza, ma che forse proprio per questo è più pericoloso.
I propagandisti del passato avevano come target delle élites, e questo è esemplificato dalla celebre battuta demolitrice dell’ “uomo medio” Fantozzi riguardo il capolavoro di propaganda sovietico “La corazzata Potemkin”. Invece i propagandisti cinesi e islamici hanno compreso la forza del cinema popolare. “Hero” ha una trama avventurosa, piena di duelli e colpi di scena, ma il messggio finale è chiaro: chi si ribella e cerca di far si che la Cina non sia “tutta sotto un unico cielo” va condannato a morte: è la giustificazione cinematografica dei genocidi in Tibet e in Xinjiang. La società del Qatar al Noor Holdings si è rivolta ad un produttore hollywoodiano di film spettacolari, per rendere, attenendosi ai dettami islamici, “spettacolare” e quindi attraente la vita di Maometto.