Delle due l’una, o la Repubblica Popolare vince la sua scommessa e diventa la prima potenza del pianeta (il che è poco probabile), e allora le sofferenze nostre e del popolo cinese sono appena iniziate, oppure la bolla economica si sgonfierà e il Paese crollerà, lasciando un enorme buco nero che inghiottirà parte dell’economia mondiale
Andrea Sartori (Insegnante)

La guerra di Google alla Cina è la prima significativa sfida al colosso asiatico che sta tenendo per il collo gli Stati Uniti e il mondo intero. C’ è chi, a ragione, è preoccupato e c’è chi, altrettanto a ragione, esulta. A questo punto, in un momento in cui abbondano i cantori del “secolo cinese” venturo, bisognerebbe riprendere la provocazione dello storico francese Thierry Wolton:e se il miracolo cinese non fosse altro che un gigantesco bluff?

Google ha levato i filtri alla censura, dopo gli atti di hackeraggio compiuti, ai suoi danni, dal governo di Pechino. Ho controllato personalmente andando su Google China e cliccando la parola “Tienanmen”. La prima immagine ad apparire è quella, ultra tabù in Cina, del giovane rivoltoso dinanzi al carro armato. Sul quotidiano Il Sole-24 Ore di venerdì 15 gennaio è apparso un articolo a firma David Pilling intitolato L’Occidente ha scoperto il bluff cinese in cui si raccontano le vicende di altre industrie, le siderurgiche anglo-australiane Rio Tinto e Bhp Billiton, che non hanno ceduto ai ricatti di Pechino, avviando trattative con clienti giapponesi.

Bluff cinese è anche il termine utilizzato dallo storico Thierry Wolton, nel suo Le grand bluff chinois: Comment Pékin nous vend sa “révolution” capitaliste pubblicato in Italia da Gremese sotto il titolo Il grande bluff della Cina: Dal latte alle Olimpiadi, come Pechino ci vende la sua Rivoluzione Capitalista. Thierry Wolton è specialista  in relazioni internazionali, e ha dedicato studi di successo sul Kgb in Francia e sul “sistema Putin”. Il suo libro riguardo il bluff cinese è stato scritto nel 2007, cioé in un un momento in cui invece stava esplodendo la crisi dei subprime negli Stati Uniti. Pechino da ciò ha tratto vantaggio, e sappiamo che l’economia cinese, principale finanziatrice del debito pubblico americano, è cresciuta in maniera esponenziale, rimpiazzando il Giappone come seconda economia mondiale. E’ tutto un bluff?

Wolton sostiene di sì. E’ una tesi provocatoria, ma non priva di solide fondamenta.  Alle quali bisogna prestare attenzione, se non ci si vuole ritrovare di nuovo in una recessione. Ci sono cinque grandi bluff cinesi: politico, economico, commerciale, sociale e pacifico.

Il bluff politico

La Cina resta un Paese comunista. L’economia non è più marxista, ma lo è l’ideologia: anche il recente caso Google ha dimostrato che in Cina non ci sono spazi per la libertà di espressione. Ci sono uomini di spettacolo americani, come Martin Scorsese e Richard Gere, che non possono mettere piede nell’Impero di Mezzo in quanto hanno sostenuto pubblicamente il Dalai Lama.  In Cina il ruolo politico e sociale degli imprenditori resta limitato, grazie al cosiddetto “accerchiamento sociale”. E’ l’apparatcik il vero beneficiario della crescita cinese. Un apparatcik che è tra i più corrotti e nepotisti al mondo. Al centro della politica di mpodernizzazione della Cina voluta da Deng Xiaoping (quello del motto “arricchirsi è onorevole”, ma anche lo stesso che massacrò gli studenti a Tienanmen) stanno i cosiddetti taizi, termine che significa “principi ereditari”, che sono i figli\discendenti di funzionari comunisti piazzati dappertutto: in politica o nelle imprese pubbliche e private del Paese. Nel 2002 il 98 per cento degli alti dirigenti politici e d’impresa erano taizi: ad esempio Wen Yunsong, figlio del primo ministro Wen Jiabao, ha creato una società di servizi internet a Hong Kong. E oltre a questa mancanza di meritocrazia, la corruzione galoppa. Se è facilissimo in Cina finire dinanzi ad un plotone di esecuzione, è anche vero che i funzionari di partito non vengono toccati: Hu Jintao ha fatto sì che l’80 per cento dei funzionari imputati per corruzione nel 2005 venissero assolti. Wolton non manca di parlare del filtraggio operato dalla polizia, cui recentemente Google si è ribellato. Filtraggio operato con la condiscendenza delle società occidentali. Nel 2009. durante le celebrazioni per il sessantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare, Hu Jintao si presentò con l’uniforme di Mao. L’uomo la cui disastrosa dottrina economica è oramai ampiamente sconfessata in Cina, ma la cui immagine continua a troneggiare su Piazza Tienanmen. L’uomo responsabile della morte di 70 milioni di esseri umani. Il più grande assassino della Storia, davanti a Hitler e Stalin.

Il  bluff economico

Non solo Wolton. Anche il Premio Nobel per l’Economia indiano Amartya Sen ha avuto molto da ridire su “un tasso di crescita che non tenga conto del fattore umano” che secondo il Nobel indiano non avrebbe “alcun valore”. Cosa si può dire di un tasso di crescita basato sulla contraffazione e la pirateria? “Il bluff economico della Cina riguarda più l’uso di trucchi e stratagemmi, l’omissione (volontaria), persino la propaganda”. L’idolo è il Pil, che deve superare quello degli Stati Uniti. La crescita costante è l’8 per cento. Wolton porta alcuni esempi: “Negli anni Novanta, mentre i tassi sfioravano l’8% di crescita annua, altre cifre fornite da Pechino indicavano un calo nei consumi di energia e un calo nella produzione dei principali prodotti industriali”. Nel 2000 l’allora premier Zhu Ronji ammise che “la falsificazione e la sopravvalutazione sono onnipresenti”. Nel 2001 i due terzi delle aziende statali principali sono state accusate di truccare i loro bilanci. Secondo l’economista Cheng Xiaonong l’economia cinese deve raggiungere almeno il 7% annuo per non ristagnare. Un fallimento economico metterebbe in discussione la legittimità del regime, che è terrorizzato da questa prospettiva dopo il trauma della perestrojka gorbacioviana. Sarà vero? Solo il tempo ce lo dirà. Bisogn aggiungere che attualmente la Cina ha paura per il 2010, dopo un 2009 triofale. La sua paura ha un nome: inflazione. E anche bolla speculativa. Da tempo si parla di una bolla speculativa di Shanghai pronta ad esplodere. James S. Chanos, l’uomo che previde il tracollo della Enron, vede una potenziale bolla cinese, che sarebbe, secondo le sue parole, una “Dubai moltiplicata per mille”. Inoltre l’economia cinese è ancora segnata dalla pirateria e dalla contraffazione. Le società che hanno delocalizzato in Cina hanno visto mille contraffazioni dei loro marchi. Hu Jintao ha ammonito Google riguardo a “regole da rispettare” (anche se certe regole è più etico romperle, e a certe autorità è moralmente lecito, quando non obbligatorio, disobbedire), ma vogliamo parlare della contraffazione? I cinesi, a differenza dei loro cugini giapponesi, sono totalmente privi di ogni ingegno.

Il bluff commerciale

Il più evidente anche ai non specialisti. Il Made in China spopola negli anni 2000 quanto il Made in Japan negli anni ’80. Ma tra i due c’è una differenza fondamentale: il Giappone unì ad una capacità lavorativa inconcepibile per un occidentale, una propensione alla creazione originale. Giapponesi sono stati alcuni dei più grandi marchi: Mitsubishi, Honda, Toyota, solo per citarne alcuni. Senza contare la forza del soft power nipponico, che riuscì ad esportare film, ma soprattutto fumetti e cartoni animati (i cosiddetti manga anime) assolutamente originali, che hanno dominato il mercato mondiale. Anche la Corea del Sud ha proposto prodotti suoi, come Samsung. Esiste tutto questo in Cina? Sul soft power abbiamo gli orrendi e inverosimili wuxiapian, come l’atroce e propagandistico Hero di Zhang Yimou (che aveva firmato il meraviglioso e vietatissimo in Cina Lanterne Rosse prima di vendersi e di  divenire il Leni Riefenstahl delle Olimpiadi di Pechino, senza però il genio estetico della regista di Hitler).Hero fu considerato “vendibile” al di fuori della Cina solo perché era piaciuto a Quentin Tarantino, che gli aveva fatto pubblicità: ebbe un certo successo perché chi andò a vederlo pensava che dietro ci fosse Tarantino, e se infischiava di Zhang Yimou. Ma anche sul campo più strettamente commerciale non abbiamo un vero Made in China, ma un Made by foreigners in China. Sono gli imprenditori stranieri in Cina. Esiste un corrispettivo cinese di Toyota o Mitsubishi o Samsung? No. Secondo un indicatore messo a punto dal forum economico di Davos, in termini di competitività mondiale la Cina è quarantanovesima, La sua arma è quello di un esercito di manodopera a basso costo, vale a dire di schiavi che lavorano 20 ore per ventotto giorni al mese, senza contributi o previdenza, e che vengono pagati circa 70 euro al mese. E’ questo che fa gola agli imprenditori occidentali che delocalizzano, in questo non certo migliori dei cinesi. Ma dove sono marchi autenticamente cinesi? Poi ricordiamo anche che slla tecnologia informatica, come ad esempio i software, la Cina ha dinanzi il suo grande avversario che, secono non tanto Wolton (che non ne parla mai) quanto il sottoscritto, per quel che può valere il mio parere, alla lunga vincerà il duello in Asia e nel mondo: l’India, che è tra i primi produttori di software per computer. Soprattutto l’India che, a differenza della Cina, bada molto di più alla qualità, inesistente nell’ex Celeste Impero, ma molto presente nella patria di Gandhi. Ma ci ricordiamo gli scandali commerciali che la Repubblica Popolare ha accuratamente nascosto, dal latte alla melanina alla Sars, per non parlare dei giocattoli avvelenati o delle pellicce di cane e di gatto. Inoltre, sempre il richiamo alle regole che Hu Jintao ha fatto a Google suona ridicolo dinanzi alle regole violate dai cinesi. Come scrive Thierry Wolton “La pirateria avviene nel cuore dello Stato, poiché la maggior parte dei laboratori di produzione di DVD e altri prodotti contraffatti sono diretti da ufficiali dell’esercito o della polizia, con la complicità del crimine organizzato che si occupa dello smercio dei prodotti”.

Xiexie (grazie) mr. Hu. Dove sono le regole?

Il bluff sociale

Il 14 gennaio 2010 la polizia ha sparato su una folla che si è opposta all’espropriazione delle proprie case nel Guanxi. Lo stesso era avvenuto per far costruire il “Nido d’Uccello” per le Olimpiadi del 2008. In Tibet e nel Turkestan orientale (per la Repubblica Popolare Xinjiang) sono scoppiati tumulti tra gli autoctoni e i cinesi Han, fatti emigrare in quelle terre. Recentemente ad Urumqi i musulmani uiguri hanno reagito violentemente al genocidio compiuto nei loro confronti, suscitando anche le vibranti proteste del premier turco Erdogan (gli uiguri sono etnicamente turchi). A Hong Kong un treno ad alta velocità stupisce il mondo, ma le persone sono scese in piazza per chiedere più democrazia e la liberazione del dissidente Liu Xiaobo. Le autorità cinesi sono ossessionate dall’idea di presentare al mondo una “società armoniosa”. In realtà la società cinese è quantodi meno armonioso si possa immaginare. I cinesi sono le prime vittime di un regime ottuso, che ha paura persino di un’innocua setta come il Falun Gong o di un monaco disarmato come il Dalai Lama o dei cattolici fedeli a Roma e non alla risibile “Chiesa Patriottica”. Ma dietro si nascondono squilibri sociali e demografici ben più gravi. Uno per tutti: “L’allineamento economico ha permesso ai salari giapponesi di eguagliare quelli europei e americani in trent’anni. Quelli dei lavoratori cinesi, invece, sono rimasti invariati dal 1979, data dell’apertura economica, al 2001, anno in cui la Cina è entrata nell’OMC”. Nelle città cinesi il 55% dei redditi è concentrato in un 20% della popolazione. Secondo il sociologo cinese He Qinglian alla fine degli anni Novanta l’1% della popolazione attiva possedeva il 60% delle ricchezze cinesi. Scrive Wolton: “La Cina è 10 milioni di mendicanti, 11 milioni di persone malnutrite, da 150 a 200 milioni di senza tetto, un tasso di disoccupazione che varia dal 12 al 30% a seconda delle fonti e un 28% di popolazione attiva di esclusi dalla crescita”, per non parlare della tragedia dei mingong i contadini-operai, che non sono più né contadini né operai, ma declassati. Esiste anche un problema demografico. Il miliardo di cinesi è un numero sbattuto in faccia alla gente quanto il miliardo di musulmani. Ma vi è una differenza tra cinesi e musulmani: i secondi crescono demograficamente, i primi no. Questo a causa della politica del figlio unico. Nel 2030 la popolazione dell’India, nazione di cui si parla poco ma che ha potenzialittà immense, a mio parere più della Cina,  supererà quella cinese. L’invecchiamento cinese è spiegato anche dai dati: nel 2015 la popolazione cinese attiva raggiungerà il suo picco di 930 milioni. Poi inizierà il declino. Il Center for Strategic and International Studies di Washington ha calcolato che nel 2040 in Cina ci saranno 397 milioni di ultrasessantenni. Nel 2020 invece ci saranno solo 2,2 lavoratori per ogni pensionato. Vi è anche un altro guaio sociale legato alla demografia: la politica del figlio unico ha fatto sì che si diffondesse la pratica dell’aborti selettivo, con la conseguenza che milioni di bambine vengono abortite da genitori che preferiscono avere un maschio. Ciò ha portato ad uno squilibrio tale che vi saranno, nei prossimi anni, milioni di singles forzati in Cina. Anche questo potrebbe portare a conseguenze sociali inimmaginabili.

Il bluff pacifico

“La Cina non sarà mai egemonica”. Parola di Hu Jintao, riportate da Thierry Wolton nel 2007. Pochi giorni fa invece scopriamo che la Cina si sta mangiando l’Africa e che in Angola vi sono schiavi cinesi. In Algeria i musulmani locali non tollerano l’arroganza e il poco rispetto dei cinesi verso le tradizioni islamiche.  Ma Pechino è pure legata a doppio filo col regime islamico sudanese, ed è complice di al Bashir nel genocidio del Darfur, lei già impegnata in due genocidi “casalinghi” quali quelli del Tibet e del Turkestan orientale. E poi c’è Taiwan, che Pechino vuole mangiarsi. Sarà un caso che a Taiwan solo una minoranza della popolazione si “senta” cinese? Ricordiamo che gli abitanti di Taiwan sono etnicamente cinesi e che il nome ufficiale dell’isola è “Repubblica di Cina”. L’esercito cinese è, come effettivi, il più grande al mondo. Ma non è certo il più potente: la più grande potenza in campo militare resta quella americana. Recentemente, in barba ai recenti accordi e al debito pubblico, l’America di Obama ha ricominciato a vendere le proprie armi a Taiwan. Thierry Wolton spiega la politica estera cinese: “La Cina è amica della maggior parte degli ‘Stati canaglia’, delle dittature e di altri leader corrotti del pianeta. Coltiva rapporti privilegiati con la Corea del Nord e con la giunta birmana, con gli islamisti iraniani, sudanesi, palestinesi e afghani; aiuta (o ha aiutato) i programmi nucleari pachistano, coreano, libico e iraniano; i suoi servizi segreti appoggiano i gruppi terroristi maoisti in India e in Nepal; viola l’embargo dell’ONU sullo Zimbabwe; è un mercante d’armi ‘irresponsabile’, colpevole di fomentare molti conflitti in tutto il mondo”. Come dice Wolton, la pace cinese assomiglia di più ad un’inquietante “veglia d’armi”. Sarà un caso che nei loro cortei gli studenti iraniani ribelli alla tirannide dei mullah rispondano al khomeinista “Morte all’America” con un bel “Morte alla Cina”?

Il “secolo cinese”

“Il XXI secolo sarà cinese, come il XX fu americano e il XIX britannico”. Un’affermazione per tre quarti sciocca.Il XIX fu sì un secolo britannico: Sua Maestà dominò incontrastata dal 1815, vale a dire dalla caduta di Napoleone. Se nell’800 ci furono grandi potenze europee, l’Inghilterra fu certamente la più grande potenza planetaria. Il XX secolo non fu un secolo americano: gli Stati Uniti dominarono incontrastati solo dal 1989. All’inizio secolo ancora il Regno Unito dominava. Poi vi fu la seria minaccia nazifascista, sorta in un momento in cui gli Stati Uniti dovettero affrontare la Grande Depressione. Dopo Yalta l’America si dovette confrontare con l’Urss e dopo la sconfitta americana in Vietnam sembrò che i sovietici dovessero vincere la partita. Poi la Storia andò diversamente. Quindi andiamoci piano con le previsioni. Le potenze, come abbiamo visto nel XX secolo, sorgono e cadono molto più velocemente che in passato.

Il Dragone, il Sol Levante e l’Elefante: l’importanza della cultura

La sfida tra l’Hagakure e Sunzi sembra vinta da quest’ultimo. I samurai sono stati battuti dai mandarini. Ma dietro si profila, gigantesco, l’elefante indiano. Wolton cita spesso, nel suo libro, lo stratega cinese Sunzi, autore del celebre Bing Fa, tradotto in Occidente come l’ Arte della Guerra (sarebbe più corretto La legge della strategia). L’applicazione delle teorie di Sunzi in campo economico non sono una novità, e lo sa chi ha visto il celebre film di Oliver Stone Wall Street. La frase sdi Sunzi citata da Wolton è “Combattere e conquistare, non è questa l’eccellenza suprema; l’eccellenza suprema consiste nello spezzare la resistenza dell’avversario senza combatterlo”. Ed è pensando a Sunzi che le autorità cinesi sciorinano numeri impressionanti, intimorendo l’Occidente: non cercate di combatterci, avete già perso. Ma attenzione: continuiamo a leggere Sunzi: “La guerra è il Tao (via) dell’inganno”. Oppure “Se sei inattivo mostra movimento, se sei attivo mostrati immobile”. Leggere Sunzi è comprendere la strategia cinese, capirne i punti di forza e smascherarne i talloni d’Achille. Diversissima è la mentalità giapponese del bushido che i nipponici applicarono anche nell’economia, nella cultura e nell’arte. Il giapponese lotta, e Tokyo seppe imporsi grazie ad un valore effettivo dei suoi prodotti. Senza barare, ma seguendo quell’etica dei samurai che va dall’ Hagakure di Yamamoto Tsunetomo a Yukio Mishima passando per Myiamoto Musashi. Il giapponese ha forte il senso dell’onore, anche nella sconfitta. Il cinese ha forte il senso dell’inganno e del depistaggio. Sull’Impero di Mezzo si potrebbe dire ciò che Churchill affermò dell’Unione Sovietica: “Un indovinello dentro ad un rebus chiuso in un enigma”. Ma se si legge Sunzi e non ci si lascia troppo incantare dalla propaganda di Pechino tante cose si possono comprendere. Dietro si muove, lento ma inesorabile, l’elefante indiano. Il quale ha ancora molti svantaggi sulla Cina, ma anche molte potenzialità non trascurabili. E’ una democrazia nata dalla mente di un santo, il Mahatma Gandhi, con una tradizione di sovrani illuminati e anticipatori dei diritti umani, come Asoka il Grande, non un Paese mandarinesco nato dalla mente di un tiranno come Mao. Pur tra mille diseguaglianze è la più grande democrazia del mondo. E’ un Paese anglofono: il cinese difficilmente riuscirà ad imporsi come lingua franca mondiale: il sistema ideografico, i toni che a seconda della pronuncia dei quali il significato di una parola muta totalmente, la rendono una lingua troppo lontana da quasi tutte le lingue del mondo, giapponese compreso. L’inglese ha il grande vantaggio di essere facile. L’India è un Paese giovane che supererà la Cina in fatto di abitanti e popolazione attiva. E, last but not least, l’India è un Paese che, a differenza della CIna, sforna cervelli. Il premio Nobel per l’Economia Amartya Sen, il politologo indoamericano Fareed Zakarya, il Premio Nobel per la Fisica Subrahmanyan Chandrasekhar, il Premio Nobel per la Biologia Venki Ramakrishnan, gli scrittori  Sir Salman Rushdie e Vikram Seth. L’espolosione del cinema di Bollywood. Ecco solo alcuni esempi.La Cina non vanta queste teste, e gli scrittori validi cinesi (Ma Jian, il Nobel Xinqjian) vivono fuori dalla Cina. La potenza non si fa solo con le armi e coi soldi, ma anche con la cultura: non sono state le armi americane a battere l’Urss, ma l ‘american way of life. Non credo di esagerare quando penso che Hollywood, la Coca Cola e il Rock hanno fatto più per gli Stati Uniti di Roosevelt e Reagan. L’India ha le potenzialità per imporsi anche con questo, ma la Cina, che sembra bravissima solo nel contraffare?

La Cina sembra ora invincibile. Lo sembrava anche il Giappone degli anni Ottanta. Pochi se lo ricordano, ma il Giappone arrivò a minacciare seriamente la supremazia Made in Usa (e in maniera valida, usando l’ingegno e non contraffacendo). Oggi il Giappone è una potenza decadente. Le civiltà orientali, di matrice buddhista, dovrebbero ricordare gli insegnamenti dell’Illuminato riguardo l’ “impermanenza”.

Forse il ricco Hu Jintao non ha compreso appieno (o ha compreso troppo bene) le parole del Dalai Lama riguardo l’impermanenza?