Che la cocaina non sia più la droga da performance esclusiva delle classi alte, dei ricchi professionisti o della gente di spettacolo non è notizia di oggi.

Una recente inchiesta di Repubblica (febbraio 2012) informa, come fosse una novità, che ora si “dopano” di cocaina anche artigiani, infermieri, magazzinieri, camionisti o medici.

La cocaina è la droga da performance più assunta del mondo da almeno trent’anni. I medici sono stati i primi – come dimostrano i casi di Sigmund Freud o William Halsted – ma da tempo si registra un aumento dei consumatori in categorie più umili. Dagli anni Ottanta, solidi studi epidemiologici dimostrano che la cocaina è entrata nel consumo di lavoratori e professionisti di tutte le categorie, dal magistrato all’operaio specializzato. La variabile capace di cambiare la platea di consumo nel breve periodo è il costo medio della dose da mezzo grammo. Quando i costi della “striscia” aumentano temporaneamente per effetto del contrasto di polizia, dei sequestri, dello smantellamento delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico, i consumatori ripiegano su sostanze dagli effetti simili alla cocaina come le anfetamine.

Negli ultimi dieci anni l’estensione dell’uso abituale e non occasionale della cocaina si è estesa ulteriormente alle categorie “più umili”, un tempo esenti da questo consumo. Lo psichiatra Roberto Bertolli autore (con Fulvio Ravera) del libro Un fiume di coca dichiara che “dopo i camionisti e i cottimisti, l’ultima novità sono gli artigiani: idraulici, elettricisti, imbianchini” e persino operai della Fiat. Questo si spiega in due modi: da un lato l’offerta capillare della droga nei luoghi di svago (soprattutto discoteche), dall’altro la stabilizzazione del prezzo verso il basso dopo brevi impennate verso l’alto. Nello studio finanziato dall’ONU, The Transatlantic Cocaine Market, si rileva che il consumo di cocaina negli ultimi dieci anni in Europa è raddoppiato e che è in gran parte di origine colombiana. Un raddoppio si spiega non tanto con l’aumento delle categorie implicate nel consumo ma, ancor più tragicamente, con l’aumento del numero totale dei consumatori in ogni singola categoria.

Il successo delle operazioni di polizia, che varia di anno in anno, non ha eliminato la quantità totale di droga disponibile sui mercati europei. I trafficanti trovano sempre nuovi modi per importarla dai paesi produttori (principalmente Colombia, Perù e Bolivia) attraverso gli aeroporti e i porti marittimi così i costanti sequestri di tonnellate di cocaina pura non riescono a diminuire significativamente l’offerta della droga. Ciò significa che (come già per eroina e l’ecstasy) l’opera di contrasto non potrà mai sradicare alla radice il problema. I trafficanti cambiano accessi e sistemi di occultamento. Bisognerebbe controllare miliardi di tonnellate di merci in entrata in Europa per contrastare davvero l’importanzione della cocaina. Cosa impossibile.

I neurologi avvertono che il consumo di cocaina regala l’illusione di innocuità per circa un anno, poi arrivano i danni neurologici: cambiamento della personalità, sviluppo di problemi psichiatrici e malattie mentali. Durante i primi tempi si potrà aumentare anche la resistenza sul lavoro ma presto la droga presenta il conto. Oltre ai danni neurologici, la cocaina provoca emicranie croniche, danni al sistema circolatorio e al fegato, ictus e arresti cardiaci; essa porta (lo fa ogni giorno) a situazioni cliniche tragiche ed irreversibili. Finché esisteranno consumatori convinti di passare indenni attraverso questa dipendenza, la lotta alla cocaina sarà sempre perdente.

L’unica, vera, soluzione, oltre alle necessarie azioni di contrasto e investigazione, restano le campagne informative capaci non tanto di “sensibilizzare” (non basta più) quanto di impaurire, per far comprendere le devastazioni della cocaina. Recentemente ha fatto molto discutere una campagna australiana contro il fumo i cui testimonial sono persone la cui bocca è stata devastata dal cancro orale. Terribile a vedersi. Anni fa fece scalpore una campagna contro la guida pericolosa nella quale si mostravano le foto vere degli incidenti e i volti dei bambini e dei giovani uccisi in quelle sciagure. Questa modalità di comunicazione diretta e scioccante è continuata con risultati incoraggianti. Esse non piacciono a molti perché turbano, sembrano poco civili ma ottengono effetti clamorosi per mutare certi comportamenti.

Occorrerebbe anche in Italia una vera campagna mediatica deterrente, che facesse leva non semplicemente sul paternalistico “non drogarti”, perché non basta più. Bisogna riprodurre situazioni reali, tragedie, malattie causate dall’uso continuo della cocaina. Qualcosa che spaventi, che stimoli l’istinto di sopravvivenza. Non è più tempo di delicatezze. È tempo di verità.

di Mario Iannaccone
da La Bussola Quotidiana