l successo di Geert Wilders non può essere liquidato come in rigurgito xenofobo • Sono cose che capitano quando l’immigrazione è affrontata secondo la retorica e non la logica
di Diego Gabutti
Tratto da Italia Oggi il 6 marzo 2010

Stupisce che qualcuno si stupisca per il successo elettorale, in Olanda, del Partito della libertà di Geert Wilders, un gruppo politico a dir poco fortemente ostile all’Islam. Era inevitabile che questi nodi, prima o poi, venissero al pettine. Soprattutto dopo l’improvviso tracollo della coalizione di centrosinistra del premier democristiano Jan Peter Balkenende, in carica dal 2002, il cui governo è rovinosamente uscito di scena, un paio di settimane fa, quando ha incautamente tentato di compiacere l’Islam olandese votando il rientro anticipato del corpo di spedizione in Afghanistan.

Geert Winders, nei paesi bassi, non è evidentemente il solo guerrafondaio, né l’unico «fascista» e «xenofobo», come titolano i nostri giornali e telegiornali, visto che persino nel centrosinistra olandese, e addirittura tra i socialdemocratici, c’è chi ha votato contro le concessioni furbastre all’elettorato islamico.

Oltre che nel Partito della libertà, ci sono «xenofobi», «fascisti» e «guerrafondai» anche nei partiti di centrosinistra. Nel paese di Theo Van Gogh, giornalista e regista televisivo assassinato a coltellate da un fanatico islamista nel 2004; nel paese del politico omosessuale e «xenofobo» Pym Fortuyn, assassinato nel 2002 da un militante d’estrema sinistra, e della dissidente somala Ayaan Hirsi Magan, scrittrice e deputata al parlamento olandese che nel 2006 dovette fuggire a New York perché le autorità olandesi praticamente rifiutarono di proteggerla dai killer islamisti che le davano apertamente la caccia, è strano che l’antislamismo (ribattezzato «xenofobia» dai media che vogliono darsi un tono antifascista) sia un fenomeno soltanto elettorale.

Poteva andare molto peggio: l’antislamismo, dopo uno o due decenni di provocazioni politiche e religiose, poteva trasformarsi, prima in un’emergenza sociale e poi in un problema d’ordine pubblico, come lo è da tempo la violenza islamista. Ma intanto è un fenomeno elettorale, che inevitabilmente, se le questioni dell’immigrazione continueranno a essere affrontate, non secondo logica ma secondo retorica, si riprodurrà negli altri paesi dell’Unione europea, Italia compresa.

È qualcosa nell’aria: la società multiculturale, che in Olanda ha avuto la sua più coraggiosa sperimentazione, arranca e perde fiato da quando l’idea di poter assimilare l’Islam, così com’è possibile assimilare qualunque altro gruppo d’immigrati, si è rivelata una pericolosa illusione.

Agli antichi romani, prendendola alla lontana, non era difficile tenere insieme un enorme impero multiculturale: erano politeisti, devoti alla politica più che agli altari, e aggiungevano nuove divinità al pantheon ogni volta che le loro legioni conquistavano nuove terre e assoggettavano nuovi popoli.

Ma come si fa (se lo chiedeva, giorni fa, sul Corriere, anche Giovanni Sartori) a condividere un pantheon religioso e politico con l’Islam?

È semplicemente impossibile, e lo si è visto, in Olanda, molto prima che il Partito della libertà di Geert Winders trionfasse alle amministrative di mercoledì scorso.

Non siamo politeisti noi, benché l’Islam (causa il dogma trinitario) ci accusi d’essere tali, figurarsi se sono politeisti i seguaci musulmani dell’Unico Dio.

È vero che l’Occidente cristiano (grazie all’illuminismo, che oggi gode di scarse simpatie tra i fondamentalisti cristiani e gli «atei devoti», un altro dei regali che ci ha fatto l’immigrazione senza regole) almeno ha il concetto di tolleranza nel suo Dna costituzionale. Ma l’Islam? Religiosamente (e dunque politicamente) parlando, non è neppure in grado di concepire l’idea, non diciamo praticarla, di tolleranza e di libertà religiosa.