di Raffaella Frullone
da La Bussola Quotidiana

«La famiglia soffre, ma non è morta. Essa è il cuore della vita civile e sociale di un popolo, non può essere uccisa senza gravi conseguenze per tutti. [… ] Quella monogamica nata dall’unione tra un uomo e una donna, più che oggetto del passato, mi appare come una bellissima tentazione del futuro. Come una promessa, una sfida, una possibilità che ci attende».

Mentre gran parte degli italiani accolgono con giubilo il provvedimento sul divorzio breve, mentre i legami si liquefano sempre più e i rapporti di coppia sono più precari dei contratti offerti ai neo laureati, Massimo Camisasca [nella foto] torna a proporre con forza l’unica via possibile: la famiglia. Il fondatore e superiore della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo lo fa dalle pagine del suo libro “Amare ancora – Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani”, Edizioni Messaggero di Padova, 143 pagine, a pochi mesi dall’incontro mondiale di maggio. 

In una società in cui l’istituzione della famiglia è considerata un cimelio del passato il libro la presenta  come la più affascinante delle sfide. All’autore abbiamo chiesto se non sia una proposta un po’ lontana dai tempi…                                                                                                                     Sono sicuro che la famiglia non passerà mai di moda perché è la strada bellissima e talvolta complicata verso la vita. I rapporti familiari sono radicati dentro la nostra mente e il nostro spirito. Per questo ancora oggi ha senso parlare di famiglia. Proprio le sofferenze e i drammi delle divisioni ci raccontano quanto la famiglia non sia un istituto del passato, ma una necessità del presente. Oggi si sono diffuse altre modalità di rapporto tra le persone che vorrebbero durare nel tempo gareggiando con la famiglia tradizionale. Ma queste nuove “forme” non ne possiedono le caratteristiche. La famiglia tradizionale, infatti, vive di una stabilità, di un impegno preso davanti a Dio o agli uomini, nel desiderio che il coniuge e i figli che eventualmente verranno possano trovare un luogo in cui essere accolti stabilmente e amati.

Il secondo capitolo del libro è dedicato alla “nostra originale dipendenza”
, che sentiamo attraverso quell’irresistibile esigenza di completarsi nel rapporto con gli altri, cosa significa? Come può questa dipendenza parlare a chi vive in un mondo in cui si sbandierano autodeterminazione e indipendenza a tutti i costi?

L’uomo è creatura. È originariamente dipendente dal suo Creatore. I rapporti tra gli uomini sono la strada per ricongiungerci a Colui che ci ha creati. Ecco perché riconoscere che abbiamo bisogno dell’altro ci libera dal peso dei nostri limiti, con cui inevitabilmente ci scontriamo quando cerchiamo a tutti i costi l’indipendenza, e che, in maniera altrettanto inevitabile, ci fanno del male. La famiglia è il nucleo in cui questa dipendenza diventa la struttura portante della nostra vita.

Da ogni parte oggi è messa in discussione la figura del padre: c’è chi tende a trasformare il papà in un mammo, e chi vorrebbe privarlo della sua autorevolezza. Nel libro invece è scritto che senza la presenza del padre si rischia di non vivere a pieno. Quanto c’è ancora da lavorare in questo senso?

La crisi in cui versiamo oggi è innanzitutto una crisi di senso, che affonda le sue radici nella distruzione della paternità, iniziata dalla rivoluzione culturale del ‘68. Io sono convito per esperienza che per educare un figlio occorrano un padre e una madre, tanto quanto sono necessari biologicamente. Certo, uno dei due può venir meno per la morte o anche tutti e due. Rimane vero ugualmente che senza una figura maschile e femminile di riferimento, senza il rapporto, anche conflittuale, con il padre e la madre, senza il loro affetto, la crescita è più difficile e può essere anche talvolta dolorosamente ostacolata. I genitori, la mamma e il papà, sono le due luci che illuminano la vita del figlio, che diventerà adulto. La mamma dona e cura l’esistenza, il padre apre ad essa, alla sterminata varietà delle sue sfumature. Senza l’apporto dei due fari, il cammino del giovane adulto rischia di attraversare zone buie.

Quando si parla di impegno, famiglia e responsabilità incombe silenzioso ma da molti condiviso un senso di paura. Paura del presente, del futuro, di non saper educare, di perdere il nostro tempo e il nostro spazio. Da dove deriva questa paura, e come affrontarla?

L’educazione è la sfida più avventurosa che l’uomo possa vivere. Io stesso, da prete, posso dire di aver dedicato ad essa la mia vita. Ovviamente, è di per sé rischiosa, l’errore è sempre dietro l’angolo, può essere sempre necessario ripartire. E la solitudine in cui sempre più veniamo relegati dalle strutture economiche e politiche che intessono il nostro mondo, non ultima la spirale in cui la tecnologia rischia di travolgerci, ci fanno sentire ancora più impreparati. Occorre riscoprire la passione di educare, che può portarci fuori dalla pochezza in cui spesso ci sentiamo ingabbiati. È difficile educare, ma non impossibile. Occorre un lungo ascolto, occorre riconoscere che noi non siamo i padroni delle vite altrui, occorrono ideali che bruciano dentro di noi e che si comunicano come fuoco agli altri.

Nel libro scrive che ci sono due ragioni per cui Dio ha voluto la famiglia e l’ha elevata a sacramento: la trasmissione della vita e la trasmissione della fede. Perché la fede è così essenziale? Se manca è ancora possibile costruire e custodire una famiglia?                                                                                     Come ho detto, siamo delle creature. La vita è un’alleanza fra Dio e l’uomo. Quando un uomo e una donna si promettono di essere l’uno per l’altra l’aiuto per tutta la vita, non pensano certamente di poterlo fare grazie ai loro sentimenti. Occorre poggiarsi sull’aiuto di Dio, anzitutto chiedendo la grazia di compagni di strada che possano sostenerci. Per questo le comunità ecclesiali possono essere un grande aiuto alla persona per affrontare le sfide, le ferite, le cadute e le vittorie della vita di una famiglia. La fedeltà è possibile. Essa è la forza che Dio dà alle nostre fragili esistenze. Ma la famiglia è sacramento anche perché è il primo, nel senso latino di primus, luogo di educazione alla fede. Come diceva Giovanni Paolo II, la famiglia offre la prima “umanizzazione della persona”. Ciascuno, pensando alla propria storia, potrebbe dire quanto siano stati importanti le preghiere insegnate dalla nonna o la messa della domenica con papà e mamma. La vita di un bambino è un terreno che aspetta, come pioggia, gli insegnamenti, semplici ed eterni, che solo la fede può donare.

In Italia molti avvocati, sociologi e psicologi hanno salutato con soddisfazione il provvedimento sul “divorzio breve”
, considerano un bene per i nuclei destrutturati che si possono disgregare in tempi rapidi. Possiamo invece auspicare ad un’inversione di rotta? E’ possibile chiedere un aiuto dallo Stato nel custodire quello che la nostra Costituzione  dichiara di voler tutelare, la famiglia?

È evidente a tutti che ogni amore vuole essere per sempre e che ogni figlio che nasce desidera trovare un padre e una madre che lo accompagnino verso la vita in modo duraturo. Le leggi degli stati e le loro politiche non dovrebbero sminuire il valore fondamentale della famiglia, che è un bene per tutta la società. Il divorzio può essere un momento tragico nella vita di una persona. Ma piuttosto che offrire una “scorciatoia” che invece conduce solo a un male più grande, dobbiamo cercare in ogni maniera che lo Stato e il mondo politico trovino le soluzioni idonee per aiutare le famiglie, ricche o povere, numerose o piccole che siano. Spesso una famiglia naufraga per motivi che affondano le radici in difficoltà quotidiane, per le quali c’è bisogno di cambiamenti strutturali importanti. La famiglia più di tutto ha bisogno dell’aiuto di Dio, da domandare in un dialogo quotidiano, anche fugace, con la preghiera, magari in un semplice Padre nostro recitato insieme.