Dal Vangelo secondo Marco 16,15-18.

Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». 

IL COMMENTO di don Antonello Iapicca

Un uomo lanciato in uno zelo smisurato, e un amore più grande d’ogni entusiasmo. Un amore d’acciaio che arriva come un fendente, e rovescia la vita: tutto quello che è stato – certezze che sembravano granito, la storia, i Padri, le tradizioni, l’ardore a difesa dell’elezione – tutto travasato nel buio della cecità da una voce che scandisce una presenza e che trapassa il cuore. E poi, anni di silenzi, il deserto, occhi poggiati sul nulla, e quella voce che risuona dentro insieme alle voci amiche di chi era stato nemico a raccontare l’amore che ha vinto la morte. La vita di Saulo era precipitata in un frullatore che rimestava ogni molecola; il ricordo vivo di pietre e sangue e il volto come quello di un angelo piegato sulle ginocchia, una sapienza sconosciuta che consegnava la vita per lui. Moriva quel gemello fedele dell’eretico di Nazaret, e sussurrava le stesse, strane parole, moriva perdonando, e non era cosa di questo mondo. Quell’immagine, quell’uomo piagato eppure sfolgorante di Cielo gli si era conficcata nella memoria, e s’intrecciava con quella voce che lo aveva afferrato e scaraventato giù dalla vita.

Saulo di Tarso, quello che uccideva i cristiani era lì, in quell’eremo d’Arabia, ridiventato bambino, la mano stretta in quella di Anania, a camminare a ritroso nella storia dei suoi: ogni passo scioglieva un frammento di buio, e le cose si facevano chiare, e poi vere, e poi nette come un mattino sferzato di tramontana. E sempre e di nuovo Stefano impresso nella memoria, la sua voce così simile a quella voce che lo aveva rapito e sconvolto, il suo volto così uguale a quello che lo aveva sedotto sulla via di Damasco. Era Stefano, era il Profeta di Nazaret, erano i piccoli che stava per mettere in catene. Non capiva, e intuiva. E poi la luce, un abbaglio più intenso ed ecco tutto era chiaro. La Verità aveva bussato, senza preavviso, se non quel volto tumefatto di chi, morendo, lo aveva scusato, perdonato, amato; ora comprendeva, ora che quella misericordia senza condizioni, quel non tener conto delle intenzioni malvage, degli errori, dei peccati lo aveva raggiunto e chiamato a diventare come l’eretico giustiziato, ora ci vedeva e capiva perchè il volto di Stefano gli era sembrato come quello di un angelo del Cielo. Era vero quel morire come un agnello, era vero che il Messia doveva essere il Servo, era vero che il Crocifisso era risorto.

Eccola la Storia di salvezza, le promesse, l’Alleanza, la Terra, la Legge, la Pasqua, le tradizioni: tutto parlava di Lui, lo annunciava e lo attendeva; come lui stesso, sbagliando mira, aspettava la redenzione, il compimento, il Messia. Saulo non lo aveva capito, era impossibile, eppure era proprio così: correva verso Damasco, correva ad incarcerare e a uccidere i discepoli di colui che il suo cuore desiderava più d’ogni altra cosa al mondo. Per il Messia Saulo averebbe considerato tutto spazzatura; per l’atteso del suo popolo avrebbe consegnato la vita, sino all’ultimo respiro. Per questo correva verso Damasco, voleva estirpare la spazzatura che si opponeva all’avvento del Messia, bruciava di desiderio e doveva cancellare ogni menzogna ed eresia, non v’era posto per i falsi profeti. Ma Saulo non poteva prevedere che dietro a quel suo zelo si nascondeva il bisogno bambino di essere amato, salvato, rigenerato. Giudicava senza pietà perchè cercava pietà; voleva estirpare la menzogna perchè bramava la Verità; correva e cercava perchè voleva essere trovato; era certo di non sbagliare perchè desiderava qualcuno che lo amasse quando sbagliava; era geloso delle sue cose perchè cercava un fondamento più forte di se stesso. Saulo era come ciascuno di noi, fieri e certi in apparenza, ma in realtà pavidi e insicuri. Come lui anche noi cerchiamo, ci affanniamo, lottiamo, ci indignamo e giudichiamo, ci appassioniamo e ci spendiamo, soffriamo e sudiamo per nulla, incapaci di afferrare l’unico che il nostro cuore davvero desidera. Come Saulo non ci rendiamo conto di cercare proprio quello che stiamo rifiutando, la verità e l’amore che si celano in tutto quello che mettiamo a morte ogni giorno.

Ma proprio sulla via dell’ennesimo tentativo di far giustizia della propria vita, sull’orlo dell’abisso, appare Gesù, l’amato del suo cuore, che aveva cercato senza incontrare; ora era Lui ad averlo trovato, fermato, perdonato, amato. Gesù, vivo in tutti quelli che Saulo stava per consegnare alla morte; Gesù e quel suo “perchè?” che gli spalanca tutta la sua vita e la illumina come un’unica, spesso disperata ricerca d’amore. Perchè mi perseguiti? Perchè dai calci contro il pungolo? Perchè vuoi uccidere l’amore che cerchi? E quello stesso perchè bussa alla nostra vita. Perchè corriamo per mettere in galera la moglie, il marito, il capoufficio, o la fidanzata? Perchè pretendiamo vita e ce la prendiamo incatenando chi ci è intorno, soddisfando i nostri desideri, esigendo comprensione, reclamando giustizia. Perchè? Perchè siamo ciechi e non abbiamo compreso che in tutto ed in tutti si nasconde il Messia, Colui che il nostro cuore desidera ardentemente. Per questo oggi appare di nuovo Cristo nella nostra vita, ci parla e il suo amore ci tramortisce, illuminando la storia e le persone di una luce sconosciuta. Perseguitando chi ci è vicino, perseguitiamo Lui, l’unica salvezza; rifiutando gli eventi e lottandoci contro, gettiamo fuori dalla nostra vita Cristo, l’unica fonte di gioia e pace.

In quelle poche parole del Maestro piombate su Saulo come un dardo improvviso sin dentro le midolla, in quel “perchè mi perseguiti?” c’era tutto: la Chiesa, la Vita, la Verità, la Via, il perdono, l’amore. Quell’amore s’era impadronito di lui, ed era fuoco, ormai incontenibile. E allora diviene naturale, un dovere impellente, un incarico improcastinabile, partire, correre, e annunciare. Non era possibile arrestare quel fiume in piena, l’amore si faceva gratitudine e poi avventura, e lingue nuove da parlare in ogni centimetro del mondo e dei secoli; e serpenti tra le mani, e veleni nella gola, e nulla poteva recare danno al vangelo; persecuzioni dietro ad ogni angolo, ed il dolore più grande, lancinante, come quello che aveva trapassato il costato del suo nuovo Signore: i fratelli, il suo stesso sangue, che s’eran fatti nemici; e poi malati guariti, e comunità fondate in ogni città.

Era vivo Gesù, era vivo in Lui, era vittorioso e vinceva, nelle sue parole, ogni demonio. La conversione è ritorno, è teshuvà, è un cammino, sin dentro le radici, per scoprire un’elezione ed un amore eterni. Paolo, santo nella santità di Dio, come ciascuno di noi, lanciato nello zelo delle proprie idee, delle proprie storie, sino all’incontro decisivo, che disarciona dai giumenti delle certezze per abbandonarci ad un amore più grande, che illumina ogni rivolo delle nostre vite, che svela il senso misterioso di chi ha perduto la vita per noi. Un incontro, e la scintilla della conversione, una dolcezza ferma e vera che seduce e accompagna nel cammino alla Verità. Il ritorno più autentico, alle radici d’ogni nostra unica e irripetibile vita. Alle origini, nell’eterno che ci ha generati vi è il suo amore eterno, in esso, e solo in esso, è racchiuso il senso che colma l’esistenza. E allora è zelo nuovo che straripa da un cuore ricreato, il cuore di Cristo al posto della pietra, il volto presentato ai flagellatori invece delle pietre scagliate contro l’Agnello. E la vita scoperta come una missione meravigliosa, amore che colma e che si fa annuncio, ovunque, sino al dono totale di sé. San Paolo e ciascuno di noi nel cammino di conversione, il cammino della Vita vera, tutto a tutti per e in Colui che si è fatto tutto per ciascuno di noi.

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelia su san Paolo, 4, § 1-2

« Che devo fare, Signore ? »

Il beato Paolo, che ci raduna oggi, ha illuminato la terra. Nell’ora della sua chiamata è stato accecato ; eppure questa cecità ha fatto di lui una fiaccola per il mondo. Vedeva chiaro per fare il male ; nella sua sapienza, Dio lo ha accecato per poi rischiararlo per il bene. Dio non gli ha semplicemente manifestato la sua potenza ; gli ha anche rivelato il cuore della fede che avrebbe dovuto predicare. Occorreva cacciare lontano da lui tutti i suoi pregiudizi, chiudere gli occhi e abbandonare le false luci della ragione per scorgere la retta dottrina, « farsi stolto per diventare sapiente », come egli dirà più tardi (1 Cor 3,18)… Nessuno creda tuttavia che questa vocazione gli fosse stata imposta ; Paolo era libero di scegliere…

Ardente, impetuoso, Paolo aveva bisogno di un freno energico per non disprezzare, travolto dalla foga, la voce di Dio. Dio quindi ha prima represso tale impeto ; mentre lo colpisce di cecità, placa la sua ira ; poi gli parla. Gli fa conoscere la sua sapienza ineffabile, perché riconosca colui che prima combatteva e capisca che non può più resistere alla sua grazia. Non è la mancanza di luce che lo ha accecato, bensì la sovrabbondanza di luce.

Dio ha scelto proprio il momento ; Paolo è il primo a riconoscerlo : « Quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio » (Gal 1, 15)…Impariamo dunque per bocca stessa di Paolo che nessuno ha mai trovato Cristo per mezzo del proprio spirito. È Cristo ad essersi rivelato e fatto conoscere. Così dice il Salvatore : « Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi » (Gv 15,16).