Intervista. Il racconto di un giovane neozelandese: io come l’ attentatore di Detroit
di Anna Mazzone
Tratto da Il Riformista dell’11 gennaio 2010

Charles Wardle è un ragazzo neozelandese. A 18 anni suo padre gli regala un biglietto per l’India. Nulla di strano, i ragazzi “kiwi” lasciano presto casa per girare il mondo. Ma Charlie non prende il viaggio come una “vacanza”, bensì come un modo per cercare una nuova strada, tutta sua, diversa da quella fino ad allora percorsa ad Auckland, fatta di furti e atti di vandalismo che gli hanno procurato seri problemi con la giustizia. Già, perchè Charlie si stanca presto della mistica indiana e il 1° settembre del 2001 arriva in Pakistan. Lì si unisce ai militanti di Lashkar-e-Toiba (i guerriglieri accusati della strage di Mumbai nel 2008), si converte all’islam e dopo quattro mesi si trasferisce in Libano, dove entra in contatto con gli Hezbollah che lo vogliono inviare in un campo di addestramento per i martiri in Palestina. Lui però si rifiuta. Viene arrestato ad Ajman, negli Emirati Arabi, mentre sta aspettando di ricevere del materiale esplosivo.

Deportato in Nuova Zelanda, comincia a frequentare la comunità islamica di Auckland e in moschea viene a conoscenza per la prima volta dei sermoni di Anwar al-Awlaqi, il “professore” di al Qaeda che fa proselitismo sul Web e che è stato indicato come “guida spirituale” di due degli attentatori dell’11/9, del maggiore Nidal Malik Hasan che il 5 novembre del 2009 uccise 13 suoi commilitoni nella base militare di Fort Hood in Texas, e di Umar Farouk Abdulmutallab, il fallito attentatore del volo Amsterdam-Detroit del 25 dicembre, ieri comparso per la prima volta in tribunale. E se l’ex premier britannico Tony Blair ieri sosteneva sul quotidiano israeliano Haaretz che il terrorismo sarà sconfitto «quando comprenderemo che si tratta di una battaglia unica», e che «questo è un movimento globale», allora non stupisce che l’orrore si possa nascondere anche dietro gli insospettabili occhi azzurri del kiwi Charlie, che ha raccontato la sua incredibile storia al Riformista.

«Conosco diversi musulmani in Nuova Zelanda che si ispirano alle lezioni di Awlaki», dice al Riformista Charles Wardle, «Prestare ascolto a quello che dice può motivare qualcuno fino ad uccidere». Parla come un vecchio Charlie, eppure ha “solo” 26 anni. Ne aveva 18 quando si convertì all’islam. La sua storia, confermata da un esperto di contro-terrorismo della Victoria University, potrebbe essere identica a quella di molti altri che sono restati in silenzio e che continuano a operare all’interno della fabbrica del terrore. Proprio come lui; ingranaggio insospettabile con il passaporto occidentale. Il nigeriano Abdulmutallab che ha tentato di far esplodere il volo Amsterdam-Detroit il giorno di Natale è uno di questi. Ha “solo” 23 anni, ma invece del Pakistan si è “formato” in Yemen.

«Era il 2001. Avevo 18 anni e volevo lasciare la Nuova Zelanda», ci racconta al telefono Charles Wardle, che ora si professa ateo e studia scienza e arte all’università di Auckland. «Avevo dei problemi lì e mio padre mi comprò un biglietto per l’India. Ero un semplice turista, non avevo particolari intenzioni. Poi da lì sono andato in Pakistan e mi sono convertito all’islam». I genitori di Charlie non sono dei ferventi credenti. Sua madre è «per così dire cristiana», suo padre è «agnostico».

Il diciottenne non pensa alla religione. «Anche se non avevo un sentimento religioso, avevo però una posizione politica fortemente anti-americana. Avevo letto molto sulla guerra in Libano e simpatizzavo con gli Hezbollah. Volevo raggiungerli, volevo dare il mio contributo alla lotta contro gli israeliani. Non avevo ben chiaro cosa avrei fatto, ma avevo qualche idea e tante convinzioni. In quel periodo avevo anche valutato l’idea di arruolarmi nella legione straniera. Avevo solo 18 anni e la testa piena di cose». In Pakistan, Wardle entra in contatto con il gruppo militare di Lashkar-e-Toiba. Li cerca lui. Il gruppo non parla inglese, ma Charles si ferma con loro quattro mesi e si converte all’islam, perchè solo convertendosi gli si possono aprire le porte della jihad, la guerra santa. «Sono restato nel gruppo per 4 mesi. Non parlo l’arabo, ma ci si capiva tra di noi e poi altri parlavano altre lingue utilizzate anche dai guerriglieri, come il russo». Il gruppo includeva anche altri ragazzi, più o meno ventenni. «Ricordo un ragazzo francese che ora è in galera. L’ho incontrato un paio di volte. Stava cercando di organizzare un attacco in Australia. Era giovane ma più grande di me. Era un po’ quello che ci dava una mano nell’organizzarci. Poi c’erano tre americani, un inglese, e due coreani». Italiani? «No, non ricordo italiani». La conversione all’islam di Charlie avviene dopo aver divorato biografie di Maometto e libri sul sionismo. «Leggendo quei testi – dice Wardle – mi convinsi che quello fosse il mio destino, mi vedevo su quella strada. L’Islam era una strada buona, in competizione con quello che avversavo».

Subito dopo la conversione: «Volevo andare in Kashmir. Ma la persona che mi seguiva (il mio tutor) mi vedeva più adatto per un ruolo religioso e non per un’operazione a Karachi. Ma i loro campi di addestramento stavano per essere chiusi. Ci muovevamo da un campo all’altro e io volevo andare in Libano. Quindi mi fecero un biglietto per la Turchia e da lì andai a Beirut dove entrai in contatto con Hezbollah. Mi fecero un’intervista e subito dopo mi offrirono di spedirmi in Palestina in un campo per martiri. Ma io non volevo diventare un martire». Wardle racconta con voce ferma e sicura, come se fossero passati secoli da allora e non solo una manciata di anni. Viene da chiedersi se abbia mai avuto paura mentre si esercitava a diventare un terrorista di al Qaeda. «Non avevo paura dei musulmani, credevo che fossero delle guide. Erano dei santi e il martirio rendeva la comunità più forte, mi sarebbe piaciuto diventare santo, ma mi faceva paura uccidere un’altra persona». E i genitori non gli mancavano? «Lashkar-e-Toiba mi pagava ogni cosa. Vestiti, cibo, viaggi. Ai miei genitori scrivevo qualche mail, ma in quel periodo non ero molto in contatto con loro. Gli dissi di essermi convertito all’islam e loro non furono contrari».

In Libano Charlie si ferma altri 4 mesi. Un ragazzo di Lashkar-e-Toiba poi gli dice di andare in Arabia Saudita. «Sono stato a Medina e a Jeddah. Poi in Gran Bretagna per rifare il visto e poi di nuovo in Arabia Saudita. Lì il responsabile era Abdul Aziz, originario dei mujaheddin di Bosnia. Lui mi disse che aveva ricevuto l’ordine di mandarmi in Iraq. Quindi mi spedì in Siria per prendere il visto. Ma lì mi dissero che non me lo potevano dare. Però mi offrirono di fare lo “scudo umano” per proteggere i fratelli musulmani iracheni che lottavano contro gli americani. Ma non volevo diventare un “human shield”. E Abdul Aziz allora mi spedì in Iran». A Teheran Wardle viene arrestato per poco tempo e poi rilasciato. Si dirige di nuovo negli Emirati Arabi e lì viene arrestato poco prima di ricevere del materiale esplosivo da addestramento. Deportato alla fine del 2003 in Nuova Zelanda, oggi vive ad Auckland.

La mappa del terrore disegnata dagli spostamenti di Charles Wardle potrebbe essere il frutto di una sfrenata fantasia, oppure interamente vera. «Di certo è verosimile», dice al Riformista Stefano Dambruoso, a capo dell’ufficio per le attività internazionali e il contro-terrorismo del ministero della Giustizia. «Come dimostra anche la storia della radicalizzazione del nigeriano Abdulmutallab, i ragazzi giovani e disadattati sono prede facili per i maestri del terrore». E, soprattutto, «non è possibile distinguerli solo in base alla cittadinanza». Perchè possono nascondersi anche dietro limpidi occhi blu stile Charlie Wardle.